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RE PLACE 2

Giovanni Albanese – Carlo Bernardini
Fabrizio Corneli – Licia Galizia e Michelangelo Lupone

Prendi l’Arte e mettila da ogni parte

Giovanni Albanese

Piero Manzoni, Pino Pascali, Lucio Fontana, Jannis Kounellis, Julian Schnabel… tutti “al servizio” narrativo di Giovanni Albanese, artista trasversale del nostro panorama, il primo ad aver varcato il ponte che collega l’arte visiva al cinema (quello coi giusti crismi produttivi e la chance della prima visione, si intende). Dopo l’esordio di A.A.A. Achille, commedia sulla balbuzie con Sergio Rubini, Vincenzo Cerami e Nicola Piovani tra i nomi d’oro del cast, ecco in arrivo Senza arte né parte, seconda regia dell’artista pugliese (anche sceneggiatore assieme a Fabio Bonifacci) che ci porta, per la prima volta nella filmografia recente, tra opere importanti di alcuni maestri del Novecento. Una novità in un cinema che finora prediligeva le biografie di artisti noti ma non affrontava il lato complesso dell’avanguardia, secondo giochi calibrati tra le retoriche del “riesco a farlo pure io” e la poesia sublime delle alchimie rivoluzionarie e culturalmente elevate. Albanese usa l’arguzia, il sentimento e il tocco morbido di un narratore che l’arte la conosce perché prima la vive dentro, poi la produce con talento ed ottimi riscontri, quindi la insegna ai giovani in accademia. A giudicare dalle sue sculture spiazzanti, improvvise come sorrisi lunatici nella notte senza luna, la creatività di Albanese riaccende l’energia, poetica e dissacrante, del grande Pino Pascali (Albanese, non a caso, ha vinto il Premio Pino Pascali 2002). Entrambi pugliesi, per nulla intimoriti dalle contaminazioni linguistiche, mostrano nelle opere una libidinosa passione per gli oggetti in disuso, la ferraglia, le cose di uso casalingo. Con Pascali (morto in un incidente nel ’68) nascevano bachi giganti dagli scovoli di setole acriliche, liane forestali dalle pagliette da cucina, pezzi di mare da vasche geometriche riempite di acqua e anilina. Con l’Albanese odierno (nato a Bari nel 1955 ma da tanti anni a Roma) abbiamo padelle usate, pedali di bicicletta, tubi, fanali dall’occhio furbo, zuppiere di rame, un sellino in cuoio, recipienti in plastica… Una volta assemblati con la precarietà inestimabile della grande scultura, ne escono personaggi che fondono il lato ironico del cyberpunk e una versione domestica del manga nipponico. Prima di loro esistevano gli “oggetti fiammeggianti”, una squadra di sedie, tavoli, quadri ma anche un pianoforte a coda, veri e propri scheletri in ferro ricoperti da lampadine cimiteriali a luce arancione. Sembravano forme dal fuoco perenne, strani oggetti vivi dall’energia ipnotica. Che oggi si affiancano a questi ed altri guerrieri fai-da-te, figli senza meta in un mondo che li rende ansiosi e futuribili, comici e al contempo tragici. Il nuovo film di Albanese, mentre proseguono le mostre in giro per l’Italia, sarà una miscela morbida tra gli stili da commedia e le note del collezionismo snob, delle aste miliardarie, dei vernissage mondani ma anche delle emozioni gratuite che solo l’arte scatena. Il film ci racconta la storia pazza di alcuni operai pugliesi che scoprono l’arte del falso e diventano più artisti di tanti “veri” maestri. L’inizio delle riprese è previsto ad inizio 2005 con una produzione firmata Gianfranco Piccioli e un cast che si annuncia all’altezza dei nostri falsari. Verrebbe da dire: guarda l’arte e mettila da ogni parte. Magari la gente capirà che è molto più semplice e divertente di quanto si possa credere.
Gianluca Marziani (Testo pubblicato su Specchio)

La materia è il vuoto

Carlo Bernardini

La rivincita di un angolo può essere la trasformazione dello spazio da una posizione quasi mai presa in considerazione nei luoghi espositivi, molto spesso sottovalutata e secondaria rispetto alle più protagoniste pareti. L’angolo in veste di contenitore può diventare esso stesso opera, trovando così il suo riscatto nella riconfigurazione dello spazio attraverso una nuova architettura di luce.
La fibra ottica è un pretesto per plasmare lo spazio, e il buio è la base di questo disegno mentale in quanto davanti a esso si è obbligati all’immaginazione, a una sorta di vedere non vedere.
Ma la vera materia è il vuoto, e la luce ne cristallizza la forma.
L’opera si appropria di un luogo imponendosi quale unica dominante, così come nella natura sono quelle pietre senza tempo, scolpite dal vento, incise dall’acqua e tinte dal sole.
La materia non è detto sia quella che sembra essere… può essere invece quella che non c’è.
La luce tende a plasmare il vuoto, e la trasformazione più grande che l’arte contemporanea ha vissuto non è tanto quella dei nuovi materiali, dei nuovi linguaggi o concetti espressivi, quanto la perdita del perimetro in un quadro e del volume proprio nella scultura; ciò accade nelle installazioni ambientali la cui occupazione dello spazio dettata dall’idea, domina lo spazio stesso.
Affrontare con la luce le grandi architetture può essere esaltante come il ‘brivido delle vertigini’, ossia misurarsi con qualcosa di già grande che si può sfidare ma esserne al contempo annientati.
Se le forme di luce si bloccano in una fissità apparente, possono determinare sottili giochi di equilibrio, ed una mobilità percettiva che può permettere di non vederle mai uguali a se stesse, da qualsiasi parte interna o esterna le si guardi.
E’ qui che l’opera può allora sovvertire la distinzione con il contenitore, sottraendolo alle funzioni ordinarie della vita dell’uomo, divenire essa stessa lo spazio, e condurlo per mano in una dimensione “altra”, il luogo del pensiero.
Carlo Bernardini – Milano 2011
(Testo scritto in occasione dell’installazione “La rivincita dell’angolo” presentata al MACRO Museo di Arte Contemporanea di Roma, Luglio 2011).

Fabrizio Corneli

…Un cammino che sensibilmente ma anche metaforicamente si colloca sulla soglia, tra alba e tramonto, tra il giorno e la notte, in un punto crepuscolare ove la dialettica tra luce e ombra, strumenti fondamentali del suo processo operativo, positivo e negativo, pieno e vuoto, manifesto e celato, scambiano i loro ruoli, facendoci percepire l’assenza dietro la presenza, l’invisibile dietro il visibile in un gioco vicendevole tra reale ed illusorio e virtuale cioè nascosto, immateriale e presente al tempo stesso. Così come l’ombra è l’effetto del suo contrario, la luce, e come entrambe assolvono ad una funzione determinante nella composizione-scomposizione delle immagini, esse si pongono come binomio emblematico nella fluidità metamorfica del linguaggio di Corneli di altre convergenze. Dualità carica di referenti simbolici dal mondo primitivo alla cultura classica, dall’occidentale all’oriente, essa rappresenta nell’opera di Corneli il confluire metaforico in una sorta di cortocircuito di due anime del suo operare, quella razionale e logica, quella irrazionale e immaginativa, rappresentando “ la pars construens” e” la pars destruens” del suo lavoro. Come alla luce, ad un vedere diurno, quello sensibile della relazione con l’opera nelle coordinate spazio temporali che propone e con cui lo sguardo si mette in relazione, si collega un vedere dell’ombra, luogo notturno dell’immaginario e del sogno, così si integra nell’opera di Corneli, pensiero progettuale e pensiero simbolico nel risolversi dei dati dell’uno nell’esito dell’altro. Non c’è distanza, le due componenti interagiscono e si fondono, pacificando gli opposti, proprio nel gioco attivo di scoperta e riscoperta in cui il fruitore ha un ruolo fondamentale. Il carattere visionario e fantasmatico con cui si conclude il processo formativo e fruitivo dell’opera è emblematico perchè, è proprio quell’esito che oltre ad esercitare una funzione di stimolo immaginativo fa riscattare la molla della coscienza e degli interrogativi logici in un rapporto scambievole in cui s’innesca il cortocircuito delle polarità, dei livelli di pensiero, delle dimensioni e modalità del conoscere, come quella propria della scienza e quella propria dell’arte…
Manuela Zanelli, 2000

Volumi adattivi

Licia Galizia e Michelangelo Lupone

Volumi adattivi di Licia Galizia e Michelangelo Lupone rappresentano un passo ulteriore rispetto all’interazione, alla quale le interfacce dei new media ci hanno più o meno abituati. Infatti i Volumi adattivi sono in grado di evolversi come capita per un qualsiasi organismo vivente. Non c’è più un numero limitato anche se invisibile di risposte allo stimolo, come capita nell’interazione, bensì le risposte del sistema adattivo sono impredicibili o solo parzialmente tali. Quindi, quanto nell’interazione era solo suggerito dall’assenza di visibilità completa del testo, dal suo trasformarsi in territorio d’azione del fruitore, nel sistema adattivo, invece, è tale costituzionalmente. Sono queste caratteristiche che rendono la ricerca di Galizia e Lupone un esempio importante dello scenario definibile post-umano, poichè entrambi producono dispositivi in grado di consentire l’esperienza estetica come atto di muatzione in corso, di ibridazione. Infatti, secondo il modello di esistenza definito da Roberto Marchesini post-umano, il proceso di costruzione dell’uomo, l’antropoiesi, è dialogica e tende naturalmente all’ibridazione, anzi la favorisce ed è in grado di usufruirne. Di conseguenza la cultura è un non-equilibrio creativo.
Volumi adattivi sono strutture vocazionalmente ibridanti la cui “a-formalità” (o “informe” come probabilmente avrebbe detto George Bataille) consiste in un non-equilibrio in quanto strutture aperte e processuali. Volumi plastici che possono mutare – e soprattutto imparare – in conseguenza dell’intervento del pubblico, volumi che producono suoni in base alla reazione dei loro materiali in grado di memorizzare e quindi avviare processi non del tutto gestiti dall’autore, anche se da questo innescati.
Cosa diventa allora l’esperienza estetica? La rivoluzione elettronica e digitale comporta differenti modelli di esperienza cognitiva e quindi estetica che “ridisegnano” il soggetto fuori dai limiti del suo corpo in un’interconnessione che assomiglia di più a quella che Maurice Merleau-Ponty ha chiamato “carne del mondo”. I contorni indefinibili di questa carne comprendono vari aspetti che potremmo ravvisare già nella prassi creativa basata non più sul singolo ma sulla collaborazione tra un artista visivo ed un compositore musicale, nonché sulla collaborazione di molteplici competenze scientifiche.
La tecnologia, pertanto, non è affatto l’ennesimo nuovo strumento con cui ribadire vecchie forme stabili da contemplare, ma una logica differente della creatività e della ricezione che oggi consente di sperimentare un modello più ampio di umanità, per cui anche il gioco antico delle arti con i materiali, le forme e le proporzioni, prende l’aspetto più attuale di sperimentazione sensoriale di nuovi modelli ibridi di esistenza.
Franco Speroni